Il Segretario Frijia: “Troppe tasse e burocrazia hanno mandato in ‘esilio’ migliaia di imprese. È il momento di incentivare la ricostruzione di questi cicli produttivi”
Il leitmotiv che accomuna le preoccupazioni di imprese e famiglie in questo complicato periodo è il mix tra caro energia e aumento delle materie prime. A questo si aggiunge una produzione di quest’ultime sempre più spostata all’estero, dai metalli all’edilizia fino all’agroalimentare.
Ma questa non è certo una situazione che si è creata di recente.
La crisi economica che a partire dal 2008 ha investito l’Italia è stata una dei fattori determinanti che ha spinto molte aziende a delocalizzare, attratte da Paesi con una tassazione agevolata e un basso costo del lavoro. E da allora il trend non si è affatto arrestato. Secondo una serie di studi effettuati negli ultimi anni sono oltre 35.000 le aziende italiane di fatto “delocalizzate” per quanto riguarda la produzione. Di queste circa il 40,5% sono riconducibili ad aziende del settore del commercio e il 23,1% sono aziende manifatturiere, in particolar modo produttrici di macchinari, apparecchiature meccaniche, metallurgiche e prodotti in metalli.
“Un caso esemplificativo – sottolinea Vito Frijia, Segretario Nazionale di Unilavoro PMI – è il settore automobilistico: mentre una volta tutta la filiera della produzione era italiana, adesso molto spesso il ‘made in Italy’ si riduce solamente all’assemblaggio di materiali che importiamo dall’estero. I dati dell’Osservatorio Economico relativi al periodo gennaio-settembre 2021 rilevano che tra le merci più importate dall’Italia molte appartengono a questo settore, oltre a prodotti chimici di base, fertilizzanti e composti azotati, materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie, metalli, petrolio, gas, prodotti siderurgici, medicinali e macchine di impiego generale. Questa situazione – sostiene allarmato Frijia – sta mettendo a dura prova le nostre imprese che rischiano a breve un crollo produttivo generalizzato. Dobbiamo assolutamente riportare l’intera filiera in Italia”.
E quindi cosa si può fare?
“Innanzitutto diminuire le tasse è sicuramente il primo step – il Segretario Nazionale ribatte su un concetto ripetuto da tempo – sia quelle a carico dell’azienda sia quelle dei lavoratori. Dobbiamo poi ridurre la burocrazia, ancora troppo lenta nel nostro Paese, e lo spreco statale che oggi supera addirittura l’evasione. Tutto questo è urgente e indispensabile perché se dovessimo diventare ancora più dipendenti dall’estero verrebbe gravemente minata la competitività del mercato interno, il quale non potrà che subire l’aumento dei costi a monte e scaricarlo a valle”.