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Le dichiarazioni del Segretario Generale di PMIA Roberto Galanti in merito al Dl n.21 del 21.03.2022

“All’esito delle proteste determinate dal vertiginoso aumento del costo del carburante registrato negli ultimi mesi, del conseguente dibattito politico e dell’intesa raggiunta, il Governo con decreto legge del 21.03.2022 n.21, ha introdotto misure volte ad accogliere, almeno in parte, le istanze del mondo dell’autotrasporto.L’art.14 del citato decreto ha introdotto, tra l’altro, un ulteriore requisito, in aggiunta ai sei già previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo del 21 novembre 2005 n. 286, affinché il contratto di trasporto possa ritenersi validamente stipulato in forma scritta.Il contratto, infatti, oltre a prevedere il corrispettivo pattuito tra le parti, dovrà contenere la clausola di adeguamento dello stesso al costo del carburante, sulla base delle variazioni intervenute nel prezzo del gasolio da autotrazione a seguito delle rilevazioni mensili del Ministero della transizione ecologica, qualora dette variazioni superino del 2 per cento il valore preso a riferimento al momento della stipulazione del contratto o dell’ultimo adeguamento effettuato.L’indicata clausola, in realtà, anche se a condizioni parzialmente diverse e derogabile dalle parti, era già prevista dall’art.83 bis c.5 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella versione post legge di stabilità del 2015 che, nell’abolire i costi minimi e nell’affermare il principio dell’autonomia negoziale delle parti nella fissazione dei prezzi e delle condizioni di trasporto, pur nel rispetto dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale, aveva per l’appunto introdotto la cd. Clausola fuel surcharge. Tale norma prevedeva un adeguamento automatico del corrispettivo alle variazioni intervenute nel prezzo del gasolio per autotrazione (e delle tariffe autostradali) superiori al 2 per cento rispetto al valore preso a riferimento al momento della stipula.La norma di cui al D.L. 21/22 però, risulta più incisiva rispetto alla precedente, perché in caso di mancato inserimento della clausola nel contratto, questo non potrà ritenersi stipulato in forma scritta, con le conseguenze di cui al c.2 dell’art.14 del medesimo decreto.La clausola in questione, pertanto, non sarà più derogabile e le parti nel determinare il corrispettivo, dovranno adeguarlo automaticamente al costo del carburante, in caso di variazione del prezzo del gasolio superiore al 2% rispetto al valore assunto al momento della stipula del contratto o dell’ultimo adeguamento effettuato.Le parti, ovviamente, al momento della stipula del contratto, dovranno prendere in considerazione, come valore di riferimento, l’attuale prezzo del gasolio come pubblicato dal MISE, al netto dell’IVA e del recupero delle accise.Il secondo comma dell’art.14 D.L. 21/22 stabilisce, inoltre, che il corrispettivo nei contratti di trasporto di merci su strada conclusi in forma non scritta, si determina in base ai valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di trasporto merci per conto di terzi, pubblicati e aggiornati dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ai sensi dell’articolo 1, comma 250, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 con cadenza trimestrale e non più mensile.È evidente, pertanto, che, qualora il contratto manchi della clausola di adeguamento del corrispettivo o di un altro dei requisiti essenziali di cui all’articolo 6 del decreto legislativo del 21 novembre 2005 n. 286, lo stesso, pur valido, è da considerarsi non in forma scritta, con la conseguenza che al medesimo si applicheranno, ai fini della determinazione del corrispettivo dovuto al vettore, i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di trasporto merci per conto di terzi pubblicati e aggiornati dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, con cadenza trimestrale.In caso di mancata previsione della clausola di adeguamento, in definitiva, vincolante per le parti perché imposta con norma imperativa, la clausola contrattuale difforme, affetta da nullità quanto alla indicazione del prezzo di trasporto, sarà sostituita ai sensi degli artt. 1339 c.c. e 1419 c.2 c.c., dal corrispettivo conforme a legge, determinato in base ai costi di esercizio pubblicati dal Ministero.I costi di esercizio sono stati pubblicati per la prima volta dal Ministero delle Infrastrutture con decreto direttoriale n.206 del 27 novembre 2020 e poi aggiornati dal gennaio 2022.La tabella dei Costi unitari per km prevede quattro classi di veicoli ( A – fino a 3,5 ton; B – oltre 3,5 ton e fino a 12 ton; C – oltre 12 ton e fino a 26 ton; D – oltre 26 ton) e per ciascuna classe, in corrispondenza delle singole voci di costo, determina un valore minimo ed uno massimo dei costi. Le voci di costo, a loro volta, sono state raggruppate in tre sezioni: Veicolo – rimorchi e semirimorchi inclusi – (acquisto; manutenzione; revisioni; pneumatici; bollo; assicurazioni; ammortamento); Altri costi (stipendio, trasferte, straordinari, energia); Pedaggiamento.La tabella, pur individuando una forcella molto ampia tra un minimo e un massimo (es. tabella gennaio 2022 per i veicoli a pieno carico superiore a 26 tonnellate, minimo 1.622 – massimo 2.979) non stabilisce i criteri per la determinazione dei costi all’interno di questa forcella (quali ad es. natura del carico; peso e volume della merce trasportata; caratteristiche de trasporto e quant’altro), pur essendo evidente che in caso di contenzioso, il vettore ben potrà reclamare quanto meno il minimo della forcella.È auspicabile, pertanto, che in sede di futura pubblicazione, vengano indicati anche i criteri per stabilire, caso per caso, la determinazione dei costi di riferimento all’interno della forcella.Un’ultima considerazione che si auspica sia tenuta in debito conto in fase di conversione in legge del decreto, per una maggior tutela dell’autotrasportatore non garantito dalla clausola di adeguamento contenuta nel contratto scritto, va fatta con riferimento alla prescrizione e alla decadenza.Quanto alla prima, si auspica che il termine di prescrizione per la rivendicazione dei costi di riferimento in caso di contratto non scritto sia portato da uno a cinque anni, così come era previsto in vigenza delle tariffe a forcella e dei costi minimi di sicurezza.Quanto alla seconda, poiché è prassi della committenza inserire nei contratti delle clausole di decadenza con termini molto ristretti, è auspicabile che in sede di conversione, si limiti tale prassi che vanifica l’intento legislativo comprimendo i diritti del vettore, parte debole del contratto. Sarebbe, pertanto, il caso di stabilire che eventuali termini di decadenza potranno decorrere solo dalla cessazione del rapporto”.

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